Quarta di copertina
Contributi al pensiero è composto da due saggi. Il primo di essi, Psicologia dell'immagine, è stato scritto nel 1988, e il secondo, Discussioni storiologiche, è stato terminato nel 1989. Sebbene si riferiscano a campi diversi, i due testi riuniti in questo volume sono in stretta relazione e, in un certo senso, si chiariscono a vicenda. Per questo la loro pubblicazione congiunta con il titolo di Contributi al pensiero ci sembra opportuna. I punti di vista espressi in Psicologia dell'immagine e in Discussioni storiologiche sono caratteristici della riflessione filosofica e non sorgono dalla stessa matrice della psicologia e della storiografia. Tuttavia, entrambi i lavori si rivolgono ai fondamenti stessi di queste discipline. In Psicologia dell'immagine si espone una teoria innovativa su quello che l'autore chiama “spazio di rappresentazione”, “spazio” che sorge quando si mettono in evidenza gli oggetti della rappresentazione (non semplicemente quelli della percezione) e senza il quale non si può comprendere come la coscienza possa orientarsi e distinguere tra il “mondo esterno” e il “mondo interno”. In effetti, se la percezione presenta i fenomeni a chi li percepisce, in quale luogo questi si colloca rispetto a essi? Se si risponde dicendo che si colloca nella spazialità esterna, in accordo con l’“esteriorità” del fenomeno percepito, allora come può muovere il corpo dall’“interno” guidandolo in tale “esteriorità”? Grazie alla percezione si può spiegare come il dato arrivi alla coscienza ma non si può giustificare il movimento che la coscienza imprime al corpo. Può il corpo agire nel mondo esterno se non esiste una rappresentazione di entrambi questi termini, corpo e mondo? Ovviamente no. Pertanto tale rappresentazione deve avvenire in qualche “luogo” della coscienza. Ma in che senso si può parlare di “luogo”, “colore” o “estensione” nella coscienza? Queste sono alcune delle difficoltà affrontate e risolte nel presente saggio, il cui obiettivo consiste nel sostenere le seguenti tesi: 1. L'immagine è un modo attivo in cui la coscienza si pone nel mondo e non semplice passività, come hanno sostenuto le teorie precedenti. 2. Questo modo attivo non può essere indipendente da una "spazialità" interna. 3. Le numerose funzioni svolte dall'immagine dipendono dalla posizione da essa assunta in tale "spazialità". Se ciò che l'autore sostiene è corretto, l'agire umano va reinterpretato. Non sarà più possibile sostenere che sia l'idea, o la “volontà” oppure la “necessità oggettiva” a far muovere il corpo verso le cose; bisognerà ammettere che sono invece l'immagine e la collocazione da essa assunta nello spazio di rappresentazione. L'idea o la “necessità oggettiva” potranno orientare l'attività nella misura in cui si disporranno come immagini e - nella prospettiva della rappresentazione -, nella misura in cui questa collocazione si darà in un paesaggio interno adeguato. Ma non solo le necessità o le idee avranno questa possibilità: l’avranno anche le credenze e le emozioni trasformate in immagini. Le conseguenze che derivano da queste tesi sono enormi e l'autore sembra suggerirlo attraverso le parole con cui conclude il proprio lavoro: “Se le immagini permettono di riconoscere e di agire, allora gli individui e i popoli tenderanno a trasformare il mondo in modi diversi a seconda di come il loro paesaggio risulti strutturato e a seconda delle loro necessità (o di ciò che considerino le loro necessità).” In Discussioni storiologiche si passano in rassegna le diverse concezioni che l'autore riunisce sotto la designazione di “storia senza temporalità”. Come mai fino a oggi si è studiata la storia umana considerando l'uomo come un epifenomeno del mondo naturale o come una "semplice cinghia di trasmissione di fattori a lui esterni, dei quali è solo paziente?" A quali ragioni si deve la mancanza di spiegazioni adeguate sulla temporalità e sulla sua natura? L'autore afferma che la Storiologia diventerà scienza solo nella misura in cui risponderà a tali domande e chiarirà i prerequisiti necessari ad ogni discorso storico, ovvero che cosa si debba intendere per storicità e per temporalità. Nella Premessa a quest'opera si dice: "Abbiamo fissato come obiettivo del nostro lavoro il chiarimento dei requisiti preliminari necessari per dare fondamento alla Storiologia. E' chiaro che disporre di un sapere cronologico sugli avvenimenti storici non è ragione sufficiente per avanzare pretese di scientificità..." La Storiologia non può prescindere dalla comprensione della struttura della vita umana, poiché lo storiologo, anche se volesse fare semplice storia naturale, si vedrebbe costretto a strutturare tale storia naturale utilizzando un'ottica ed un'interpretazione umana. Ma la vita umana è proprio storicità, temporalità, ed è appunto nella comprensione della temporalità che sta la chiave di ogni costruzione storica. Ma allora, che cosa determina gli avvenimenti umani, in che modo essi si succedono gli uni agli altri? L’autore risponde che sono le generazioni, con le loro diverse accumulazioni temporali, gli agenti di qualunque processo storico; sebbene coesistano in uno stesso momento, le generazioni possiedono differenti paesaggi di formazione, di sviluppo e di lotta proprio perché le une sono nate prima delle altre. Il bambino e il vecchio, per esempio, vivono apparentemente in uno stesso tempo storico, ma, pur coesistendo, rappresentano paesaggi e accumulazioni temporali diverse. Certo, le generazioni nascono l’una dall'altra in un continuum biologico, ma ciò che le caratterizza è la costituzione sociale e temporale, che è diversa per ciascuna di esse.