Quarta di copertina
“Questa nostra storia è inizia negli anni Settanta. È il tempo della grande contestazione, in cui l’idea che la violenza fosse la via necessaria verso un mondo migliore (e senza violenza), era data per scontata.
Poi quegli anni sono passati e i discorsi sulla lotta armata rottamati senza troppe discussioni. Anche se da allora non ho mai rinunciato all’idea di un cambiamento rivoluzionario, inteso come radicale ribaltamento delle condizioni del presente.
È stato nel corso di questi ultimi anni che è nato il mio interessamento nei confronti della nonviolenza. La motivazione più profonda è venuta dal sentimento spontaneo di inaccettabilità di qualunque forma di violenza. Naturalmente la difficoltà più grossa non è la sua giustificazione come scelta di vita quanto piuttosto quella, molto ambiziosa e difficile di volerne fare lo strumento privilegiato di una scelta rivolta alla capacità di abbattere un potere dominante, violento e armato, votato al sopruso e alla guerra.”
È a partire da queste riflessioni che Antonio Minaldi, pur ammettendo il diritto estremo alla resistenza armata come legittima difesa, accetta la sfida della Nonviolenza come scelta etica e come “scommessa politica”, esplorando le vie attraverso cui divenire efficace e vincente.