Quarta di copertina
Da tempo pensavo a un libro che, attraverso la trama del menu quotidiano presente nelle case napoletane della nostra infanzia, riuscisse a ricostruire la vita, le abitudini, i desideri, le aspettative di un passato non tanto lontano, ma che le velocissime trasformazioni della realtà da tempo facevano apparire sempre più remoto.
Alla fine la spinta è arrivata dalla catastrofica vicenda del covid, che in poco tempo ha spazzato via gran parte di tutto ciò che, sedimentato in secoli di vita e di socialità, formava il nostro mondo, capovolgendo brutalmente valori e ideali per imporre un nuovo ordine senza riferimenti conosciuti.
È stato così che ho capito fino in fondo come la stabilità del menù familiare sarebbe potuta diventare il centro di un discorso comprensivo di tutto un universo di valori. Infatti il cibarsi insieme si legava strettamente ad una serie di elementi fondamentali per la salute del corpo e dello spirito: prima di tutto, era igiene dell’alimentazione, che prevedeva cibi genuini e variati; in secondo luogo, era educazione, intesa sia come misura nel mangiare che come galateo nel comportarsi e, infine, tutto questo aveva come base una moralità confinante col sentimento religioso perché, se vogliamo risalire alle origini, l’intemperanza era vizio non da poco e la gola addirittura un peccato capitale.
Alla ricognizione gastronomica si affianca quella narrativa, che riguarda la storia di una famiglia e di un quartiere napoletano, Materdei, durante gli anni Cinquanta-Sessanta.
Il libro è strutturato su due registri: le giornate si svolgono nel passato, le sere e le notti sono brevi camei ambientati in questo distopico presente.